Selezione di antichi testi su Agricoltura e alimentazione in Emilia Romagna

 

 

L'esposizione trae spunto dalla pubblicazione di Agricoltura e alimentazione in Emilia Romagna. Antologia di antichi testi, a cura di Zita Zanardi, che ripercorre la storia alimentare e agricola della nostra Regione affidandosi agli scritti e alle opere conservate negli istituti culturali, fino a ricostruire in un paziente mosaico di storia e arte l'identità di un territorio e la sua economia.

 Il volume raccoglie una scelta di opere in grado di testimoniare, anche attraverso immagini, la presenza in Emilia-Romagna di un'importante tradizione agricola e alimentare dalle radici antiche, mettendo in evidenza le colture caratteristiche, le tecniche di produzione, le consuetudini agricole e alimentari (sia quelle che sono arrivate fino a noi che quelle ormai scomparse), la legislazione di competenza, ma anche le curiosità, che sono alla base di un settore ancora dinamico e fecondo.
Le opere prese in considerazione sono frutto dello studio di autori emiliano-romagnoli o che comunque nella regione hanno vissuto e operato per tutta la vita o per una parte significativa di essa.

Numerose le pubblicazioni attraverso le quali si snoda un percorso che tocca manuali di agricoltura, trattati, libri di sanità, fra i quali non si può non ricordare il Tacuini sanitatis, pubblicato a Strasburgo nel 1531, i ricettari e 'libri di casa', i lunari e gli almanacchi con il Famoso Barbanera stampato a Faenza dalla Tipografia Conti nel 1844 e il Lunêri di Smembar, che si stampa a Faenza ininterrottamente dal 1845 per i tipi della Tipografia Faentina.

In esposizione anche la splendida Pomona italiana, ossia Trattato degli alberi fruttiferi di Giorgio Gallesio stampata a Pisa fra il 1817 e il 1839. Uscita a fascicoli e oggi conservata in pochi esemplari completi, l'opera contiene descrizioni accurate e stupende tavole a colori delle maggiori varietà fruttifere presenti in Italia negli anni di pubblicazione e riveste un notevole interesse agronomico in quanto vi sono descritte varietà fruttifere oggi ormai scomparse o presenti in ristretto numero.

Gli esemplari esposti, provenienti in gran parte dai fondi Zauli Naldi e Caldesi, rappresentano un'occasione per scoprire una pagina di storia della stampa e della tipografia.

 

 

 

 

 

 


Comune di Rimini

Il provvedimento, emanato prima a Roma e poi ristampato appositamente per la città di Rimini, riguarda la tassazione di un quattrino per ogni foglietta di vino applicata agli osti. Le misure utilizzate per servire il vino nelle osterie erano il congio (da cui bigoncio, il secchio di legno utilizzato per la vendemmia), il mezzo congio, il boccale, il mezzo boccale o foglietta.

 

 

 

Pietro de’ Crescenzi (Bologna 1223-1320)

Studioso di filosofia, di medicina, di scienze naturali, di giurisprudenza, Pietro de’ Crescenzi è considerato il maggiore agronomo del Medioevo occidentale. Nel suo Ruralium Commodorum libri XIII, qui presentato in edizione veneziana in italiano volgare, teorizzò tecniche agronomiche e di coltivazione dei giardini, la cui applicazione avrebbe determinato la struttura del moderno paesaggio rurale italiano. Questo testo sulla coltivazione fu uno dei pochissimi a vedere la luce nel periodo medievale, infatti tra la composizione dell’ultima opera agronomica della latinità, l’enciclopedica Naturalis Historia di Plinio il Vecchio e i primi trattati rinascimentali trascorsero milletrecento anni durante i quali furono diffusi solo tre testi, fra cui questo risalente al 1304.

 

 

 

 

 

Vincenzo Tanara (Bologna, m. 1669 ca.)

La monumentale opera del marchese Vincenzo Tanara è da annoverare tra i più fortunati esempi di letteratura inerenti l'economia rurale italiana di età moderna, frutto dell'esperienza che l'autore maturò nella conduzione dei propri possedimenti. È suddivisa in sette libri rispettivamente dedicati al pane ed al vino, alle viti ed alle api, al cortile - inteso come luogo in cui vengono allevati gli animali (compresi bovini e suini) -, all'orto, al giardino con gli alberi da frutto, alla lavorazione della terra. L'ultimo libro è dedicato ai cicli stagionali, ai quali sono legati anche i consumi delle varie pietanze. Conclude un'appendice dedicata alla caccia. Curioso è il testamento del porco, dove l'animale immagina di lasciare in eredità ogni parte del suo corpo a qualcuno: “...lascio a' fanciulli la mia vescica da giocare...”.

  (Schede tratte da Agricoltura e alimentazione in Emilia Romagna. Antologia di antichi testi, a cura di Zita Zanardi, Artestampa 2015)

 

 

          

 

 

Giorgio Gallesio, Pomona italiana ossia trattato degli alberi fruttiferiPisa, co' caratteri de' FF. Amoretti, presso Nicolò Capurro, 1817-1839

 

 

 

Apicio Marco Gavio

Vissuto tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C. fu un patrizio noto per la sua ricchezza e vita sfarzosa. A lui è attribuito il De re coquinaria, un trattato di cucina risalente nella sua forma nota al III-IV secolo d.C. Nel corso del Cinquecento ebbe una discreta fortuna e fu ristampata più volte. Ispirò numerose opere, fra cui quella del bolognese Giovanni Francesco Vasselli: Apicio ouero il maestro de’ conuiti.

 

Il Platina (Bartolomeo Sacchi, Cremona, 1421 – Roma, 1481)

Sfogliando i ricettari scritti tra la fine del medioevo e l'età barocca, può capitare di imbattersi in pietanze che si ripropongono da un autore all'altro. Un caso è quello della cosiddetta “torta bolognese” già nota nel Libro de arte coquinaria di Maestro Martino de' Rossi (n. 1430 circa) e riportata con poche varianti anche qui dal Platina.

 

 

Marco Bussato (Ravenna, sec. XVI-XVII)

Marco Bussato nacque presumibilmente a Ravenna nella prima metà del XVI secolo e già a partire dalla prima gioventù svolse la professione di innestatore, relativamente alla quale scrisse diversi trattati. Il Bussato qui tratta di diverse attività agricole: dell'aratura, della seminatura, della mietitura e della battitura del grano; della maniera di piantare, coltivare, potare ed innestare gli alberi da frutto e le viti. Il volume esposto costituisce una seconda edizione dell'opera, tuttavia contiene le stesse illustrazioni della prima edizione (Venezia, G. Fiorina, 1592).

  (Schede tratte da Agricoltura e alimentazione in Emilia Romagna. Antologia di antichi testi, a cura di Zita Zanardi, Artestampa 2015)

 

Giacomo Zanoni (Montecchio, 1615 – Bologna, 1682)

Giacomo Zanoni intraprese molto presto l'arte di speziale e si mostrò subito dotato di talento per la botanica. Nel 1642 venne nominato soprintendente dell'Orto botanico dello Studio bolognese, incarico che ricoprirà per quarant'anni, arricchendolo di molte specie, anche esotiche. Qui coltivò piante provenienti dai viaggi di esplorazione e creò un erbario. Nel 1675 pubblicò l'Historia botanica, ricca di 105 incisioni eseguite da Francesco Curti e da Francesco Maria Francia, che illustrano con estrema precisione altrettanto specie.

 

Antonio Metelli (Brisighella, 1807-1877)

Nella sua monumentale opera lo storico locale dedica in cui l'autore dedica parole molto belle alla coltivazione degli ulivi nella sua terra: “...dove appena cominciano a spuntare le collinette, e a far riparo coi loro dorsi ai venti che spirano da tramontana (da Brisighella a Fognano) ivi vedesi verdeggiare di perpetue foglie l'ulivo, raro dapprima, poi cresciuto in numero e unito alle vigne spargersi insieme con esse...

 

Ferdinando Bassi (Bologna, m. 1774)

L’illustrazione che orna il frontespizio dell’opera di Ferdinando Bassi (bolognese, botanico e  naturalista, fu custode dell'Orto botanico dell'Università di Bologna) fa riferimento alla leggenda secondo la quale le fonti dei “Bagni della Porretta” sarebbero state scoperte  verso la metà del XIII secolo a causa di un bue malato, che bevendo casualmente l’acqua ancora sconosciuta, avrebbe riacquistato la salute.

 

Lo Zibaldone contiene un excursus di diverse specialità prevalentemente modenesi ma anche di altre città. Si comincia con la ricetta del cotechino, si prosegue con lo zampone, passando poi dalla salsiccia all'erbazzone, arrivando anche alla mostarda di Carpi. Il libretto termina con il poemetto I gnocchi dell'abate modenese Giovanni Moreali.

 

Barbanera è dal 1762 il lunario per eccellenza : “nato” a Foligno e distribuito ovunque, è stato poi riprodotto anche localmente, come prova questa versione faentina. Le prime edizioni consistevano in fogli volanti da parete, ma a partire dal 1793 il Barbanera acquista la nuova forma di libretto, più ricco nei contenuti.

 

(Schede tratte da Agricoltura e alimentazione in Emilia Romagna. Antologia di antichi testi, a cura di Zita Zanardi, Artestampa 2015)

 

 

 

 

 

 

I tacuina sanitatis erano manuali di medicina scritti e miniati diffusisi dalla seconda metà del XIV secolo, che descrivevano, in forma di brevi precetti, quasi dei proverbi, le proprietà mediche di cibi, condimenti, frutta e verdura, ma anche stagioni e fenomeni naturali, sonno e movimento, controllo dei sentimenti, mettendoli in relazione con il corpo umano e fornendo indicazioni sul modo di correggerli e riportarne il maggior beneficio possibile. Traevano la loro origine dal testo del medico arabo Ibn Butlan, attivo a Bagdad nell’XI secolo e il loro nome deriverebbe dall’arabo Taqwin al-Sihha (Tavole della salute): attraverso di essi il continente europeo poté venire a conoscenza delle norme igieniche e alimentari della medicina araba. Dalla funzione pratica di questi testi si passò gradualmente anche a quella estetica.

L’esemplare esposto, proveniente dal fondo Ludovico Caldesi, appartiene alla prima edizione del 1531 del manoscritto di Ruggero da Parma, figlio di Giovanni, originario della Finlandia. Ruggero insegnò dapprima a Parma, poi a Salerno, dove fondò la Scuola chirurgica, da cui gli derivò anche il nome di Ruggero Salernitano.

 (Scheda tratta da Agricoltura e alimentazione in Emilia Romagna. Antologia di antichi testi, a cura di Zita Zanardi, Artestampa 2015)

 

 

 

 

 

 

Luneri di Smembar par l'ann …

E' il lunario dei poveracci, letteralmente dei “pezzenti” ed è uno dei più antichi: la notte di Capodanno del 1844-1845 nell'Osteria della Marianàza di Faenza, un gruppo di artisti disegnò e scrisse il “primo numero” improvvisato per pagare le consumazioni all'oste. La vignetta che lo accompagnava, disegnata dal pittore e scenografo Romolo Liverani e incisa su rame da Achille Calzi, rappresentava un uomo vestito di stracci, con un cappellaccio piumato e d'aspetto trasandato, che cavalcava un ronzino tenendo in una mano una bandiera recante la scritta “Generale dei smembri” e diretto verso un gruppo di catapecchie, su una delle quali era scritto “Locanda della miseria”. Sulla destra un cippo con l'indicazione “Città dei debiti”.

Il lunario da quel momento e per altri sessantotto anni sarà stampato dalla tipografia Marabini in forma di manifesto, per essere affisso e consultato agevolmente. Esso è suddiviso in due parti: nella prima compare una zirüdela, scritta in romagnolo e illustrata da vignette satiriche. Nella seconda parte si trova il calendario vero e proprio con le feste religiose, i santi, il sorgere e il tramontare del sole, il clima e i consigli per il raccolto. Dal 1868 compare a fondo pagina la figuretta di Mathieu De la Drôme ad indicare la sua paternità sugli studi delle fasi lunari e dei fenomeni atmosferici. Fedele testimone delle epoche che attraversa, il lunario riporta da oltre 170 anni i fatti che hanno tracciato la storia del Paese, restituendoci uno spaccato di vita autentico e genuino. Ogni anno lo si può acquistare in qualsiasi edicola della Romagna a partire dall'11 novembre, giorno dedicato a San Martino.

(Scheda tratta da Agricoltura e alimentazione in Emilia Romagna. Antologia di antichi testi, a cura di Zita Zanardi, Artestampa 2015 e da “E luneri di Smembar dal 1845 nelle case dei romagnoli “ di E. Casanova, in 2001 Romagna, 2012)

 

 

 

 

Girolamo Rossi (Ravenna, 1539 - 1607)

Filippo Mordani, nelle sue Vite di Ravegnani illustri definisce il Rossi “filosofo, oratore, poeta, medico ed istorico celebratissimo”; presso lo Studio di Padova completò gli studi di medicina e filosofia. Questa opera tratta della distillazione in tutte le sue forme, compresa quella dei vari metalli come l'oro e l'argento.

 

Paolo Sarti (Medicina, 1781 – Faenza, 1838)

Sarti, chimico e farmacista, dal 1816 cominciò a spostarsi sul territorio prelevando campioni d'acqua da ciascuna fonte per esaminarli, con esiti molto incoraggianti. Bartolomeo Righi nei suoi Annali della città di Faenza scrive che “quattro miglia in circa superiormente alla città furono scoperte nel 1819 sorgenti d'acque minerali, che tengonsi più efficaci che quelle di Riolo Secco; però che il nostro chimico e farmacista Paolo Sarti com'ebbe dal Magistrato ricevuto incarico d'analizzarle, le trovò pregne di particelle ferree, e per conseguente di virtù maggiori che non erano quelle, che in avanti conoscevansi.”

    

Paolo Anderlini (Bologna, 1772 – Faenza, 1833)

In quest'opera Anderlini cita la sorgente medicinale sita fuori da Faenza, con le tre qualità d'acqua già descritte dal Borsieri (S. Cristoforo, Olmatello e Salsa). Verso il 1905 una grossa frana seppellì il pozzo che per molti anni cadde nell’abbandono. Solo nel 1921 Luigi Ranieri pensò di ritrovare l’acqua curativa e sfruttarla; chiese pertanto al Comune la concessione della sorgente, obbligandosi a ricostruire il pozzo e ad incanalare le acque a sue spese.

 

 

  Giovanni Battista Borsieri, Delle acque di S. Cristoforo, in Faenza, [1761]

 

(Schede tratte da Agricoltura e alimentazione in Emilia Romagna. Antologia di antichi testi, a cura di Zita Zanardi, Artestampa 2015)

 

 

 

Francesco Ginanni (Ravenna, 1716 - 1766)

Erede di una famiglia patrizia ravennate che annoverava più di uno studioso, presso la corte dei Farnese studiò coi migliori maestri poeti, grammatici e matematici. In quest'opera Ginanni definisce il bosco ravennate “il più celebre e il più ragguardevole dell'Italia, che ben fu conosciuto per un carattere distintivo di questa città...” La foresta dell'Eden della Commedia somiglia alla pineta di Classe, egli dice, ed è antica come il mondo, inoltre in questo lungo racconto sulle meraviglie del bosco molte pagine sono dedicate alle “pine” e ai “pinocchi”.

 

Domenico Vincenzo Chendi (Formignana, 1710 – Tresigallo, 1795)

Don Domenico Vincenzo Chendi fu parroco di Tresigallo dal 1742 fino alla morte. Nel lungo periodo che trascorse nella località della pianura ferrarese, ebbe modo di conoscere i cicli della vita agreste, anche attraverso la gestione diretta del beneficio parrocchiale. Questo osservatorio privilegiato (assieme ad una certa curiosità scientifica che aveva maturato fin da giovane, con gli studi universitari di medicina e botanica) gli consentì di elaborare una conoscenza approfondita dell'economia rurale. L'opera in questione riserva sorprese, come ad esempio la descrizione di uno dei salumi più tipici del ferrarese, la salama da sugo, e le pagine dedicate all'uva d'oro.

 

(Schede tratte da Agricoltura e alimentazione in Emilia Romagna. Antologia di antichi testi, a cura di Zita Zanardi, Artestampa 2015)