L’esposizione è preceduta dalla sequenza fotografica del fotografo Giovanni Zaffagnini “Mi ruppero talmente la testa che perdei la vena poetica” tratta da Io vidi.



 

1914 LA STAMPA DEI CANTI ORFICI          

 

Sono esposti tre esemplari dei Canti orfici di Dino Campana conservati dalla Biblioteca Comunale di Faenza. L'opera fu stampata a Marradi dal tipografo Bruno Ravagli nel luglio del 1914.


In copertina e sul frontespizio appare però l'intestazione “Tipografia F. Ravagli”, fratello del tipografo che aveva anch'egli aperto una tipografia prima a Cortona e poi a Carpi.

In molti volumi, della tiratura presunta di poche centinaia di copie, venne strappata – presumibilmente dallo stesso Campana - la carta con la dedica “A Guglielmo II Imperatore dei Germani”, dedica quanto mai inopportuna nel 1914.

I tre esemplari, provenienti dai Fondi Antonio Corbara, Primo Scardovi e dal Museo del Teatro di Faenza, presentano leggere differenze. Solo il primo – rilegato in seta rossa – è integro; gli altri due per un problema avvenuto durante la stampa della pagina 151 hanno l'ultima riga mancante, troncata dopo la parola “virg”. La riga completa è stata ricomposta con una nota alla fine, sul verso di p. 173. In questi ultimi due esemplari, che di fatto costituiscono una variante, anche il tipo di carta utilizzata nei fascicoli finali è di qualità peggiore, diversa da quella pesante e spugnosa dell'esemplare del Fondo Corbara.

Inizialmente i Canti Orfici non erano destinati ad avere questo titolo. Il manoscritto originale si intitolava Il più lungo giorno.


Nel 1913 Campana lo sottopose all'esame di Giovanni Papini, che a sua volta lo passò ad Ardengo Soffici, entrambi della redazione di “Lacerba”. Il manoscritto non solo non venne preso in considerazione, ma andò perduto. Nel 1971 Luzi annunciò il ritrovamento del manoscritto avvenuto qualche tempo prima in un cassone nella soffitta di Casa Soffici. Fu così possibile il confronto con la prima edizione dei Canti Orfici, che Campana faticosamente aveva ricostruito con l'aiuto di appunti e della sua memoria
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LE EDIZIONI SUCCESSIVE DEI CANTI ORFICI

Il ritorno all'originale marradese

Firenze, 1928. Campana è da 10 anni rinchiuso nel manicomio di Castel Pulci, dove trascorre le sue giornate in apparente serenità, abbandonando definitivamente l'attività poetica. L'editore Vallecchi, senza chiedere il permesso all'Autore, manda in stampa il testo che viene curata dal letterato e giornalista Bino Binazzi (1878-1930) con il titolo Canti Orfici ed altre liriche (vengono infatti aggiunte alcune poesie scritte e pubblicate da Campana tra il 1915-1917). Nel testo sono presenti numerose varianti rispetto all'edizione marradese. La reazione di Dino a questa seconda edizione, pur riconoscente verso Binazzi, è ben espressa da questa lettera che scrisse al fratello Manlio il 2 giugno 1930:

Caro Manlio, tempo fa ebbi l'occasione di vedere la ristampa dei miei Canti Orfici edita da Vallecchi-Firenze. In qualche momento di tranquillità potei notare i continui errori del testo che è così irriconoscibile. Vi ànno pure aggiunte poesie di lezione fantastica. Non sono più in grado di occuparmi di studi letterarii, pure vedendo che il testo va così perduto-. Ti pregherei ricercare l'edizione originale di Marradi, per conservarla per ricordo”

L'invito di Campana verrà raccolto da Enrico Falqui, a cui va il merito, nel 1941, di aver riportato il testo dei Canti Orfici alla lezione dell'originale marradese. Il lavoro svolto da Falqui sarà la base per gran parte della critica successiva, tra cui va certamente ricordata l'edizione commentata del testo compiuta da Fiorenza Ceragioli nel 1985.




LA CRITICA E CAMPANA

 

Le edizioni più recenti e i convegni

 

La fortuna dei Canti Orfici, pur con fasi alterne, si è consolidata nel corso del tempo. Questo non è un fatto scontato, essendo i Canti Orfici un unicum all'interno della nostra tradizione molto distante sia dalle avanguardie più recenti che dalla tradizione più canonica. I riconoscimenti di stima che il poeta ha ricevuto, tra gli altri da Montale e Luzi, testimoniano l'importanza che ha avuto per le generazioni successive. Non è un caso che proprio da quel rocambolesco primo Novecento, dal quale sono nati i Canti Orfici, si cambierà sensibilmente il modo di fare ed intendere la poesia. Sono qui esposte, oltre all'edizione critica curata nel 1990 da Giorgio Grillo, solo alcune delle più recenti edizioni dei Canti Orfici (tra cui alcune riproduzioni anastatiche), con le quali si vuole evidenziare la continua e costante ricerca che c'è negli studi campaniani.
          

                                         
E' ormai un dato di fatto che il “matto” di Marradi non sia più solo un poeta di nicchia, ma sia ormai diventato l'Autore di un “classico” che, come scriveva Calvino, “non ha mai finito di dire quel che ha da dire”. Sono infine esposti due libri elaborati nel corso di due importanti convegni:

Dino Campana oggi contiene gli atti del convegno tenuto a Firenze il 18-19 marzo 1973. Mario Luzi in un saggio contenuto all'interno del libro scrive: “Fin da quando avevo diciotto anni e non potevo capirlo, sentivo che questo libro mi diceva perentoriamente: è impossibile chiamarsi fuori, impossibile ritrarsi indispettiti da ciò che accade, sia pure contro di te o nell'indifferenza di te”.

Dino Campana alla fine del secolo, curato da Anna Rosa Gentilini, contiene gli atti del convegno tenuto a Faenza nel 1997. Nella premessa, curata da Alberto Asor Rosa, vengono riassunti quasi cento anni di rapporto tra Campana e la critica: “Io penso che sul piano della storia della nostra critica letteraria novecentesca Campana sia una vittima – la principale vittima – del canone poetico, più esattamente del canone lirico, instauratosi ad un certo punto all’interno delle nostre lettere. Solo nel dopoguerra cominciano i tentativi di recupero, timidi anch’essi (…). Campana sta, più decisamente di ogni altro, sul versante della linea sconfitta”.




LA VITA, GLI STUDI, L'AMORE

 

La vita di Campana raccontata attraverso la prima biografia, un suo libro di testo e le lettere a Sibilla

 

Castel Pulci, 1938. Carlo Pariani è uno psichiatra di scuola lombrosiana che non ha lasciato grande testimonianza di sé negli studi del suo settore. Eppure ha avuto certamente la fortuna e l'intuito di intervistare il poeta Dino Campana durante la sua reclusione al manicomio di Castel Pulci. Nasce così la prima importante biografia dedicata al poeta marradese: Vite non romanzate di Dino Campana scrittore e di Evaristo Boncinelli scultore. Sull'attendibilità delle interviste condotte dal Pariani a partire dal 1926 fino al 1930 la critica non è unanime e certamente sono numerose le contraddizioni con le più recenti biografie campaniane (alcuni viaggi dichiarati da Campana sono puramente inventati). Come scrive Sebastiano Vassalli, più che la malafede dello psichiatra, semplicemente Campana “racconta balle” e risponde “quello che Pariani vuole sentirsi dire”, seccato da un intervistatore con cui non ha mai avuto un buon rapporto. L'immagine che l'autore tende dare a Campana è quella più in voga del momento, ossia quella del “poeta maledetto” e del nesso artista-follia. Il mediocre libro di Pariani risulta comunque una importante testimonianza non tanto per conoscere la “vita” di Campana, quanto per capire il clima che circondava la figura del poeta marradese negli ultimi anni della sua esistenza.

 

Bologna, 1903. Dino Campana terminati a fatica gli studi liceali si iscrive alla Facoltà di Chimica dell'Ateneo di Bologna. Egli stesso definì questo un “errore”, ed infatti non arrivò mai a concludere la carriera universitaria. Di questo “errore” però ci rimane una curiosa testimonianza superstite. Nell'archivio privato di una nobile famiglia faentina è stato rinvenuto un manuale di Chimica Inorganica con la nota manoscritta di possesso: “Dino Campana/di Marradi”. La nota manoscritta, parzialmente cancellata con un tratto di penna come la precedente, è ripetuta nell'occhiello: “Dino Campana/Studente 2 anno/Chimica pura/.


 

Estate 1916. Negli ultimi anni di lucidità Campana porta avanti una tormentata relazione con la poetessa Sibilla Aleramo, pseudonimo di Rina Faccio (1876-1960).



Il 22 luglio 1916 Campana risponde ad una lettera ricevuta dalla scrittrice che dopo aver letto i Canti Orfici era rimasta “abbacinata e incantata” e gli aveva inviato “alcune parole d'ammirazione”. Sibilla fu il primo ed unico grande amore di Campana con cui condivise un anno intensissimo, testimoniato anche dalle lettere che i due si scambiarono, come in questa scritta da Dino a Sibilla il 4 gennaio 1917:

Rina mia

come descriverti lo sguardo idiota di questa gente dopo esser stati baciati dal tuo! Rina io potrei rinunciare a te, ma per sempre. (...) Mia vergine perché leggemmo d’Annunzio prima di partire? Nessuno come lui sa invecchiare una donna o un paesaggio. Mio amore come vuoi che ti ami? Pallida, con una vita senza foco come col suo diritto il macchinista stinge il paesaggio e viola il ciclo che non conquista? Sciocchezze? Ma sai quanto ne ho sofferto!

Ecco quello che ci divide. Non ho visto e non vedrò nessuno. Non troppe cose dimmi. Pensa che per vivere l’assurdità del nostro amore hai bisogno di tutta la tua grazia.(...)Puoi amarmi? ancora? ancora? ancora? Non ti scriverò. Le mie lettere sono fatte per essere bruciate



UNA POESIA “EUROPEA MUSICALE E COLORITA”

 

Viaggio tra le traduzioni e le trasposizioni multimediali dei Canti Orfici

 

In un convegno tenuto a Macerata nel 2005 venne ricordata la definizione che Campana aveva dato alla sua poesia come “europea musicale e colorita”. Questi tre aggettivi sono estremamente significativi per raccontare le tante forme – non solo semplicemente letterarie – che hanno assunto i Canti Orfici nel corso degli anni. La poesia di Campana è infatti “europea” o, meglio ancora, “europea e anglo-americana”. In tanti aspetti i Canti Orfici guardano più al di là delle Alpi che non all'Italia, basti pensare al sottotitolo dell'opera in tedesco (Die Tragödie des lezten Germanen in Italien), al colophon inglese finale ispiratogli da Walt Whitman e alle poesie scritte in francese. Non è un caso quindi imbattersi in traduzioni estere dell'opera campaniana: sono qui esposti tre esemplari in lingua spagnola, francese ed inglese, ma al Centro Studi Campaniani di Marradi sono presenti anche traduzioni che spaziano dal fiammingo al catalano. Anche i Canti Orfici, come fece a suo tempo il loro Autore, hanno cominciato a viaggiare per il mondo.

 

La “colorita” vita di Campana ha dato luogo ad alcune significative rappresentazioni cinematografiche. In particolare sul tormentato rapporto con Sibilla è incentrato il film di Michele Placido Un viaggio chiamato amore (2002), che vede come attori Stefano Accorsi e Laura Morante nei panni dei due amanti. La vita di Campana ha anche ispirato un fumetto disegnato nel 1992 da Pablo Echaurren che ripercorre le tappe più significative della sua vita (il volume qui esposto è aperto sulla pagina riguardante il trascorso del poeta a Faenza).

 

La “musicale” voce di Campana ben si presta poi ad essere messa in scena a teatro: in Canti Orfici: stralci e varianti è Carmelo Bene a cimentarsi nella difficile impresa di dar vita all'io narrante dei Canti Orfici. In questa bacheca è inoltre esposto un audiobook del libro con le voci recitanti di Valentina Cortese e Ugo De Vita.