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La Grande Guerra a Faenza
raccontata attraverso i manifesti pubblici dell’epoca: 

1918 - 2018

 

FAENZA RICORDA LA GRANDE GUERRA giunge al termine del percorso: il 1918, l’anno dell’armistizio. Le riproduzioni dei manifesti originali dell’epoca invitano a ripercorrere l’ultimo anno della Grande Guerra attraverso gli avvisi e le comunicazioni ufficiali del Comune di Faenza provenienti dall'Archivio storico comunale.

Il 1917 si era chiuso con la disfatta di Caporetto e con la strenua resistenza sulla linea del Piave; nel 1918 l’andamento della guerra è profondamente influenzato da un lato dall’uscita di scena della Russia, che rafforza significativamente gli Imperi Centrali, e dall’altro dagli effetti dell’entrata nel conflitto degli Stati Uniti al fianco dell’Intesa.

Il Paese risente in misura sempre maggiore della crisi economica portata dalla guerra, e il Comune di Faenza non può fare altro che continuare ad applicare una rigida disciplina di distribuzione di generi di prima necessità fra i quali il riso, la farina di granturco, l’olio, il formaggio e i grassi animali tramite le tessere annonarie. Speciali tessere erano riservate per l’alimentazione dei bambini fino ai due anni di età. L’aumento del prezzo della biada portò inoltre ad un incremento delle tariffe per le vetture pubbliche.

Il 4 giugno la campagna faentina fu gravemente danneggiata da un violento nubifragio: l’amministrazione comunale intervenne riducendo le tasse per gli agricoltori a seguito di un’assemblea indetta per fronteggiare l’emergenza.

Il 1918 è inoltre l’anno dell’influenza spagnola che a partire dall’autunno si diffuse anche tra la popolazione civile. Per motivi di igiene l’amministrazione comunale, unitamente ad altre misure preventive, vieta la Commemorazione dei Defunti dei primi giorni di novembre, e dispone la chiusura del cimitero.

Fin dal 1915 il territorio faentino è considerato zona di guerra, e questo comportava forti limitazioni ai comportamenti individuali e collettivi. Il libero transito e il soggiorno in città furono limitato al giovedì, giorno di mercato, mentre in caso di incursioni aeree le disposizioni di sicurezza imponevano ai proprietari di edifici identificati come rifugi sicuri, di tenere aperti i portoni di accesso.

La popolazione adulta maschile era principalmente impegnata nelle operazioni belliche, ma altrettanto importante era non interrompere il lavoro nei campi: i militari impegnati nel servizio agricolo dovevano portare ben visibile un bracciale fornito dalle autorità militari in modo da non confondersi con chi non aveva la necessaria autorizzazione.

Vittorio Emanuele III il 24 settembre visita Faenza, e un manifesto a firma del sindaco Camangi ne esalta le virtù civili e militari: un chiaro esempio della macchina della propaganda patriottica della quale possiamo leggere altri esempi nei manifesti in mostra. Allo stesso spirito rispondevano iniziative come la visita dei Mutilati di Guerra o di battaglioni che si erano particolarmente distinti per il valore militare.

Sempre nel 1918 venne emesso il Quinto Prestito di Guerra, destinato a sostenere lo sforzo bellico: oltre alle affissioni comunali, l’appello per la sottoscrizione si tradusse in una enorme quantità di cartoline, volantini e altre forme di pubblicità da parte del Governo e delle banche.

Anche il nuovo alleato statunitense veniva pubblicamente onorato: in occasione della Festa Nazionale del 4 luglio venne affisso un manifesto celebrativo per esaltare le virtù del “fiero e grande popolo” che stava contribuendo in modo decisivo alle sorti della Guerra.

4 novembre 1918: il sindaco Camangi annuncia l’armistizio con espressioni cariche di riconoscenza per i combattenti e di speranze per il futuro del Paese. L’ultimo manifesto dell’esposizione apre un canale importante per la prosecuzione della storia dell’Italia: vi si annuncia la revisione delle liste elettorali, con l’allargamento del suffragio a tutti i cittadini maschi che avessero compiuto 21 anni o avessero prestato il servizio militare, a prescindere dal loro censo.

In verità il ritorno alla normalità si presenta in salita per un’Italia prostrata dalla crisi economica, e in cui il mito della “vittoria mutilata” comincia ad alimentare un malcontento diffuso nell’opinione pubblica.

Si prospettava un 1919 pieno di difficoltà materiali, politiche e sociali, viatico per il ventennio successivo che condurrà alla Seconda Guerra Mondiale. E il patrimonio documentario degli archivi storici, comunali e non solo, può esserne il testimone diretto ed indispensabile.

La mostra è organizzata dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Faenza in collaborazione con il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Archivio di Stato di Ravenna - Sezione di Faenza.

Il percorso espositivo si sviluppa nel Voltone Dolcini e nell’ultimo tratto di via Pistocchi ed include la riproduzione di manifesti disposti in ordine cronologico.

 

 

 

 

 

 

Manifesto introduttivo

 

 

 

 

  01 - Comune di Faenza, Norme per la distribuzione delle minestre fatta dalle "Cucine Economiche", 25 gennaio 1918

 

  02 - Comitato di difesa nazionale in Faenza: Prestito di guerra al 5.78%, 31 gennaio 1918

 

  03 - Asilo Infantile Margherita: Faenza, 1 febbraio 1918

 

  04 - Comune di Faenza, Vaccinazione e rivaccinazione dei profughi in Faenza, 19 febbraio 1918

 

05 - Comitato di difesa nazionale in Faenza, 5 aprile 1918

 

  06 - Provvedimenti di difesa contro eventuali incursioni di velivoli nemici, 5 aprile 1918

 

  07 - Comune di Faenza, Transito e soggiorno nella città di Faenza, 6 aprile 1918

 

08 - Comune di Faenza Bracciali per militari esonerati o dispensati per l'agricoltura, 18 aprile 1918 

 

  09 - Comune di Faenza, Distribuzione delle tessere per l'acquisto del riso, della farina di granturco, dell'olio, del formaggio e dei grassi di maiale alle famiglie di grano, 3 giugno 1918

 

10 - Comune di Faenza, cittadini, 23 giugno 1918

 

  11 - Comune di Faenza, Avviso, 12 giugno 1918

 

  12 - Comune di Faenza, 4 luglio 1918

 

  13 - Comune di Faenza, Gradinata del 4 giugno 1918, sgravio d'imposta di ricchezza mobile per i danneggiati, 23 luglio 1918

 

  14 - R. Esercito Italiano, 29 luglio 1918

 

  15 - Comune di Faenza, Rivista-Requisizione parziale cavalli per il Regio Esercito, 13 agosto 1918

 

  16 - Comune di Faenza, Il Sindaco, 10 settembre 1918

 

  17 - Comune di Faenza, Alimentazione dei Bambini, 10 settembre 1918

 

  18 - Comune di Faenza, Avviso, 26 ottobre 1918

 

  19 - Comune di Faenza, Cittadini, 23 settembre 1918

 

  20 - Comune di Faenza, Cittadini, 4 novembre 1918

 

  21 - R. Esercito Italiano, Comando Supremo, 14 novembre 1918

 

  22 - Ministero della Guerra servizi di Commissariato Militare, 29 novembre 1918

 

23 - Comune di Faenza, Revisione delle liste elettorali Allargamento del suffragio, 21 dicembre 1918

 

 

 

 Enti organizzatori: Biblioteca Comunale Manfrediana - Settore Cultura ed Istruzione - Comune di Faenza
Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo 
Archivio di Stato di Ravenna, Sezione di Faenza
"La Grande Guerra a Faenza": mostra realizzata con il contributo della Struttura di missione per gli Anniversari di interesse nazionale della Presidenza del Consiglio 

                                                                                        

 

 

 Il progetto FAENZA RICORDA LA GRANDE GUERRA è realizzato con il contributo della Struttura di missione per gli anniversari di interesse nazionale della Presidenza del Consiglio dei Ministri

 

 

Esposizione di codici e libri a stampa italiani del XV e XVI secolo della Biblioteca Comunale Manfrediana

 

        
Manifesto della Mostra Nero Su Bianco

 

 

La produzione del manoscritto nell’Italia del Quattrocento era al suo massimo splendore: manoscritti superbamente miniati e una differenziata tipologia di libri erano pervenuti, sia nel formato che nella veste grafica, a un risultato di tale funzionalità e bellezza da costituire un insuperato modello per parecchi decenni dall’introduzione della stampa. All’inizio della sua vita il libro a stampa cerca di riproporre le caratteristiche del manoscritto e nel periodo in cui convivono come prodotti commerciali è quasi impossibile distinguerli se li si osserva chiusi. Ma oltre che nell'aspetto esteriore la stampa non portò novità neppure nell'apparato illustrativo interno, ancora realizzato a mano come nei manoscritti. Gli stessi  meccanismi di impaginazione degli incunaboli – i libri stampati dall’invenzione della stampa fino a tutto l’anno 1500 -  rispettano le norme di costruzione dei codici a partire dallo specchio di stampa.

Anche i termini utilizzati agli inizi della stampa provengono dal mondo del manoscritto. Le differenze vanno riscontrate  nel prezzo, ma soprattutto nella necessità, per il libro a stampa, di un sistema di produzione per il quale sono indispensabili un consistente assortimento di caratteri mobili di metallo, carta, locali, torchi, manodopera qualificata, e di conseguenza la necessità di un consistente investimento di capitali. Non ultima, infine, l'urgenza di formulare una politica editoriale, per scegliere cosa, come e per chi stampare. Pubblicare un libro che pochi avrebbero comprato significava andare incontro al fallimento: la scelta dei titoli diventava un aspetto cruciale dell’attività editoriale, così come pure il marketing.

La necessità di grandi investimenti di capitali portò spesso alla costituzione di società, alcune delle quali destinate a durare a lungo, altre solo per una determinata tipologia di testi, altre per il tempo di pubblicazione di un'opera.

Saranno l'estensione, le mutate dimensioni della massa degli utenti del libro e di conseguenza anche i cambiamenti a livello d'istruzione, classificazione sociale e di vita nelle città, che a lungo termine determineranno le trasformazioni strutturali, sia nella presentazione esteriore che nei contenuti. I successivi cambiamenti nella composizione e quindi negli orientamenti del pubblico rappresentano la graduale proiezione della nuova vita cittadina e del flusso sempre più intenso delle comunicazioni. Le innovazioni più vistose, in particolare la pagina del titolo, trovarono più agevole spazio in una produzione copiosa e ampiamente diffusa grazie al largo mercato e al prestigio di edizioni sempre più accurate.

I cartolai, garanti di un’armonica continuità tra libro manoscritto e stampato da loro contemporaneamente proposti ai clienti con la stessa gamma di opzioni decorative atte a fare di ogni libro un oggetto personale, costituirono l’ossatura commerciale per i primi stampatori e vennero coinvolti nel nuovo mondo della stampa, tanto da diventare a loro volta tipografi, editori e intermediari per la realizzazione di imprese più vaste.

 

 

 

 

 

 

Nei primi libri a stampa si riconoscono tutte le scritture dell’età tardo gotica, caratterizzata da un sistema grafico complesso e vario. In primo luogo la gotica degli scritti scolastici, poi quella più grande e meno rotonda usata nei testi ecclesiastici e infine la littera antiqua, futuro carattere romano tondo ispirato alla minuscola carolina. Ad ogni categoria di opere e quindi di lettori corrispondeva un determinato carattere: i libri di scolastica e di diritto canonico stampati in gotico, in rosso e in nero con glosse a comprendere il testo, i classici latini in caratteri romani. Tuttavia ben presto, la regolarità e l’uniformità tipiche dei caratteri mobili e il rapido sviluppo di una tecnica sia d’incisione, che di fusione, ridussero il loro numero portando ad una omogeneità dei tipi ignota al libro manoscritto, grazie anche al nuovo e significativo fatto consistente nella diffusione dei caratteri di origine italiana. Nel penultimo decennio del secolo XV l'unificazione e la stilizzazione dei tipi appaiono ormai in uno stadio molto avanzato e per la stampa dei testi classici prevalgono il greco e i nuovi caratteri romani o littera antiqua, mentre il gotico o littera moderna, nonostante il nome quello più arretrato, continuò a essere utilizzato soprattutto per i testi giuridici, oltre che in Germania. Se il progressivo abbandono dei caratteri gotici e l'adozione del romano favorirono l'unificazione dei caratteri e dei capilettera, tuttavia il loro costo rimase a lungo elevato e "madri da minii di rame" e "alfabetti di meniature di bussoli" continuarono a rappresentare una quota importante del capitale dell'officina.

Il rinnovamento grafico umanistico fatto proprio dalla nuova arte venne perfezionato a Venezia, che assunse il ruolo di centro dominante della tipografia e dell’editoria del Rinascimento, grazie al grande tipografo-editore umanista Aldo Manuzio.

Alla collaborazione con l'incisore Francesco da Bologna, identificabile con Francesco Griffo, sino al 1502 figura chiave nel disegno dei caratteri greci e latini, si deve l’utilizzazione nei formati in 8° di una cancelleresca modificata all’anticha, detta anche corsivo o italico o aldino. Questo tipo di corsivo, per la sua bellezza e funzionalità, riscosse un enorme successo influenzando i caratteri corsivi di molti altri stampatori e affermandosi quale tipo internazionale.

Il nuovo carattere latino corsivo si ispirava alle forme manoscritte in uso nelle cancellerie italiane del secondo Quattrocento e si proponeva di assicurare alle stampe l'eleganza e la bellezza del manoscritto umanistico. In combinazione con il nuovo formato in 8°, il nuovo carattere finì col qualificare l'attività di Aldo Manuzio, che mise in commercio nuove edizioni portatili volte non tanto ad abbassare i prezzi e a diffondere il libro popolare, quanto a favorire un uso diverso del libro, meno legato allo spazio dello studio, in direzione piuttosto di un ampliamento del pubblico, non necessariamente costituito da letterati di professione, favorendo così nuove pratiche di lettura.

 

 

 

 

 

 

 

Gli operatori del mondo librario cominciarono ben presto a voler contrassegnare i loro prodotti con un logo che li distinguesse, come già facevano i cartai con le filigrane o i librai con le insegne di bottega. Spesso editori, tipografi, cartai erano legati tra di loro o per provenienza o per parentela o perché avevano impiegato ingenti capitali, onde diversificare gli investimenti. Sin dal Quattrocento, all'incipit e al colophon si aggiunge un nuovo elemento: l'insegna tipografica incisa su legno. Dapprima una semplice sigla, ispirata al segno che librai e stampatori tracciavano sulle balle dei libri spediti ai clienti, e stampata dopo il colophon o in una pagina bianca dell'ultimo fascicolo, l'insegna diventa ben presto una vera e propria illustrazione pubblicitaria, con funzione di marchio, destinata non solo a indicare l'origine del libro, ma anche ad affermarne la qualità.

A partire dalla fine del Quattrocento, la marca accompagna quasi sempre il frontespizio a testimoniare l'importanza attribuita al marchio di fabbrica, come l'ancora col delfino, forse la più nota fra le marche tipografiche, che un grande intellettuale come Pietro Bembo suggerì ad Aldo Manuzio. L'incremento del numero degli editori-tipografi estese il problema della differenziazione delle insegne impegnando la fantasia degli interessati e degli incisori. È il rinnovato interesse per il mondo classico a chiarire il significato dei motti, oltre alle figure delle marche rinascimentali, derivate spesso da autori antichi.

Alla funzione della marca di identificare il prodotto di un tipografo-editore erano interessati soprattutto gli editori più qualificati, che impiegarono le caratteristiche marche assai note: il giglio dei Giunta, la fenice dei Giolito de Ferrari, il Mercurio alato di Giovanni Rossi, l'aquila per la Società dell'aquila che si rinnova costituita da diversi imprenditori veneziani per la stampa dei libri guiridici, la Vittoria dei Valgrisi, la Pace di Girolamo Scoto. Nel caso di un libraio editore la marca, che collega idealmente il bene al suo produttore, al di là di qualsiasi riferimento territoriale, corrispondeva all'insegna della libreria. Nel caso di un libraio editore la marca corrispondeva all'insegna della libreria e nella Venezia del Cinquecento era noto a tutti che i "librai della gatta" erano i membri della famiglia Sessa. La fortuna delle marche dei libri a stampa è così accentuata che il marchio assume, grazie all'uso tipografico, un nuovo rigoglio e nuovi aspetti grafici in cui gusto estetico e simbolico si connettono con la funzione economica e commerciale.

Nelle immagini e negli autori che suggestionano più fortemente i tipografi si evidenzia l'adozione di un codice classico fatto di divinità ed eroi, figure mitologiche, allegoriche, grottesche, cammei, festoni con frutta e fiori, motivi architettonici, per citarne solo alcuni. Una raffinata erudizione umanistica appare sottesa alla creazione dell'immagine delle iniziali; quelle "parlanti" rivelano la conoscenza approfondita della letteratura greca e latina, e in particolare di Ovidio e delle Metamorfosi. Ovidio influenza il gusto poetico ed ispira gli incisori suggerendo creazioni di grande raffinatezza, svelando la gestazione di una nuova cultura, della quale anche gli artefici del libro si rivelano interpreti dotti e raffinati.

 

 

Decretum Gratiani, Frammento pergamenaceo, sec. XIII, G.S. cass.42 sc.6 n.73
Decretum Gratiani, Frammento pergamenaceo, sec. XIII

 

 

Terminata la fase più propriamente sperimentale con la definitiva affermazione di procedure identiche e ben codificate, il libro a stampa, ormai completamente rinnovato nella sua configurazione grafica rispetto al codice manoscritto, divenne per chiunque il libro per antonomasia, il prodotto più raffinato e diffuso di un modo, tutto artificiale e terreno, di concepire il lavoro dell'uomo.

Va tuttavia ricordato che per accedere alla pubblicazione a stampa un'opera doveva entrare in un lungo processo produttivo che trasformava il manoscritto in un manufatto tecnologico. Ciò fece allontanare dalla pubblicazione e da una più ampia diffusione tutte le opere, già compiute in forma manoscritta, che non potevano ottemperare agli onerosi impegni finanziari imposti dalla stampa tipografica, poiché i forti investimenti, in mancanza di munifiche donazioni, erano ricompensati soltanto da un elevato numero di esemplari venduti in tempi abbastanza brevi. Per questo le prime opere a essere stampate furono quelle che avevano un pubblico ben definito e sufficientemente ampio, come per esempio quelle di argomento religioso, quelle degli insegnamenti universitari di diritto, filosofia, arti e medicina, o quelle delle scuole di grammatica.
Le nuove esigenze grafiche, produttive e finanziarie imposero una forte selezione anche alle opere scientifiche che si apprestavano a entrare in tipografia, indipendentemente dalle loro effettive qualità intrinseche.

La riproducibilità in centinaia di copie delle immagini e delle figure, oltre che del testo, era del resto essenziale alla comunicazione del pensiero scientifico; sarebbe quasi impossibile comprendere l'impatto che tra XV e XVI secolo ebbero le edizioni a stampa sulla ricerca e sulla stessa sperimentazione in ogni ramo dello scibile, qualora le privassimo degli apparati illustrativi.

In pieno XVI secolo, la stampa si trovò dunque a svolgere la duplice funzione di veicolo del sapere antico e di punto d'approdo di quello moderno, imprimendo una forte accelerazione all'intero processo di comunicazione e di elaborazione del pensiero scientifico, favorendo la circolazione e il confronto delle conoscenze. Ciò fu particolarmente vero in quei settori che più degli altri avevano bisogno di trasmettere con illustrazioni, con carte o con mappe gli esiti delle indagini.

La conoscenza della Natura, nei suoi segreti più riposti ma anche nella percezione visiva e nell'idea stessa che se ne forma la mente, trovò nelle immagini xilografiche e calcografiche un valido antidoto agli erbari e ai bestiari medievali, nonché un potente veicolo di comunicazione accanto ai primi tentativi di classificazione e di descrizione analitica delle piante, degli animali, dell'ambiente fisico, dei mari e delle terre vicine e lontane.

 

 

 

Graduale Ms. in pergamena, sec. XV, carta [1]1r
Graduale Ms. in pergamena, sec. XV, carta [1]1r, Prov. Convento di San Francesco, Faenza

 

 

 

 

Alla fine del Quattrocento, la stampa appare già diffusa in tutti i paesi europei. In Germania, Italia e Francia sono sorti grandi centri tipografici e numerose sono le città che ospitano tipografie. Nel Cinquecento compaiono nuove officine in nuove città e l'industria del libro appare come una grande industria dominata dai grandi librai-tipografi in relazioni commerciali con tutta l'Europa, base delle relazioni intellettuali del mondo delle lettere. Sotto l'impulso dei grandi librai, l'industria del libro tende a concentrarsi nelle città universitarie e nelle grandi città commerciali, anche se continuano a sorgere un po' ovunque piccole stamperie.

Se la maggior parte delle officine tipografiche europee dei secoli XV e XVI era d’importanza assai modesta e strutturata su basi artigianali e spesso i tipografi erano costretti ad appoggiarsi ad autorità politiche o religiose stampando bandi, statuti, grida oppure lavorando su commissione, non mancarono tuttavia i casi di grandi imprese tipografiche,  come quelle di Giolito, agiato editore libraio e attivo stampatore e mercante, oppure di Luc’Antonio Giunta il giovane, erede della grande dinastia dei Giunta, editore mercante armatore finanziatore e proprietario terriero. Altre importanti tipografie hanno segnato la storia della stampa manuale nelle grandi città sedi di università e al centro dei maggiori scambi commerciali e quindi in grado di assorbire la produzione dei testi e altrettanto di sollecitarne la stampa come Venezia, Roma, Firenze, Bologna, Napoli. La crescita della produzione libraria dimostra che la cerchia dei lettori si andava progressivamente e sensibilmente ampliando: una parte consistente della popolazione urbana, anche dei centri minori, andava acquistando l'abitudine della lettura.

Alcuni inventari di magazzini librari forniscono dati interessanti sulla produzione e sul commercio nell'Italia del Rinascimento. Uno di questi inventari fu redatto a Bologna nel 1497 a seguito della morte improvvisa di Francesco (detto Platone) Benedetti nel 1496, che lasciava figli minorenni. La quantità di libri registrata è di 10.576 esemplari per 650 diverse edizioni. Nel secolo successivo le botteghe librarie rispecchieranno una realtà commerciale diversa, all'interno di una altrettanto diversa realtà sociale e culturale, con una maggiore disponibilità di edizioni proposte, ma non di copie per ogni singolo titolo, che tende a restare uguale. Sempre a Bologna atti notarili redatti a metà del Cinquecento per conto di Anselmo Giaccarelli, raccontano la storia di un libraio la cui attività  si estendeva dalla legatoria alla vendita per un volume d'affari di notevoli dimensioni, con rapporti commerciali con i colleghi veneziani Melchiorre Sessa, Vincenzo Valgrisi e Antonio Manuzio, nonché i Giunti di Lione e di Venezia.

Grazie alla progressiva messa a punto di sistemi più efficienti di distribuzione e vendita, nonché a oculate e realistiche analisi del mercato,  fu possibile passare da tirature iniziali di 400-500 esemplari a medie più alte fino a raggiungere anche le 2.000 -3.000 copie fin dagli anni Ottanta del XV secolo.

 

 

 

 

 

La dipendenza dell'allestimento del libro a stampa dai manoscritti fa sì che solo nel lungo periodo i libri assumano l'aspetto che ci è abituale: l'occhio del lettore e le sue abitudini impongono la continuità nella presentazione della pagina, così come in quella delle legature nella realizzazione delle coperte, di regola ancora un momento separato della confezione del libro.

Nelle edizioni aldine del periodo iniziale si può cogliere la coesistenza delle varie forme di presentazione in uso: negli incunaboli, come nei tardi manoscritti, la prima pagina poteva anche non coincidere con l'inizio dell'opera. Con varie anticipazioni nel Quattrocento il frontespizio si sviluppa dall'occhietto, ovvero  dal semplice titolo dell'opera stampata nella pagina bianca posta a protezione del volume  e si afferma come elemento essenziale del libro nel corso del Cinquecento, prima arricchendosi di elementi e illustrazioni xilografiche e successivamente incise in rame (calcografiche), fino a sdoppiarsi nell'antiporta nel corso del Seicento.

La fortuna del frontespizio va attribuita ad una serie di fattori, fra cui l'affermarsi della paternità intellettuale dell'opera, la funzione pubblicitaria (oggi assolta dalla copertina) e la necessità di identificare immediatamente il prodotto di una tipografia. Il frontespizio raccoglie gli elementi prima sparsi o assenti nelle varie parti del libro: il nome dell'autore, il titolo ormai "distaccato" dall'inizio del testo, le note tipografiche (la responsabilità della stampa), l'editore (quando presente), la data di stampa, gli elementi illustrativi quali stemmi, ritratti e la marca tipografica.

All'evoluzione formale del frontespizio partecipano in maniera diversa editore, tipografo, incisore, autore, a suggerire il titolo più efficace, ma anche il mecenate, sviluppando una particolare funzione mediatrice di comunicazione tra produttori e consumatori, rispecchiando ambienti, situazioni culturali e sociali: cornice, marca, vignetta e titolo sono rivolti al lettore, mentre ritratti, stemmi, dediche, privilegi e approvazione rivelano i rapporti tra stampa e committenza, tra potere civile e  potere religioso.

Nella prima pagina di testo il fregio silografico aderisce, in analogia con quello miniato, alla superficie dello specchio di stampa e i più audaci e forniti di mezzi fra i tipografi, per rendere meglio appetibili i propri prodotti destinati a una nuova e sempre più vasta clientela, faranno appropriato impiego della decorazione e dell'illustrazione silografica, trasmettendola, come i caratteri, ai successori dell'officina tipografica, così da tratteggiare elementi di continuità anche là dove ancora mancano testimonianze documentarie o tipografiche.

Per circa trecento anni la cornice ha decorato il frontespizio del libro a stampa, ma il Cinquecento fu il suo secolo. Le cornici silografiche, la cui evoluzione testimonia il

mutamento stilistico, possono essere suddivise in tre grandi tipi: vegetale, istoriato e architettonico.

 

 

 

 

 

 

 

 

 





UN' ICONOGRAFIA UNICA. IL FANTE CHE DORME.

RAMBELLI MONUMENTALE AL MUSEO UGONIA

 

 

Dopo la complessa vicenda che gli permise di collocare a Viareggio il grandioso Monumento ai caduti della prima guerra mondiale, a Domenico Rambelli venne affidato anche l'incarico di un monumento celebrativo dello stesso evento bellico a Brisighella. Se l'idea di celebrare localmente i caduti della prima guerra mondiale si può far risalire al 1923, è solo nel 1926 che allo scultore viene affidato l'incarico formale per un monumento che verrà inaugurato il 16 Ottobre 1927. L'opera è costituita da una sola figura che rappresenta un comune fante sorpreso in un momento di riposo, nel sonno. Attorniato da una corona circolare di cipressi nel Parco della Rimembranza curato dall'amico Giuseppe Ugonia, il soldato è quasi totalmente avvolto nel pastrano e stringe a sé il fucile. Altri pochi dettagli (gli scarponi chiodati, lo zaino e l'elmetto avvolto nel cappuccio), tra forzature di derivazione espressionistica e sintetiche riduzioni, bastano allo scultore per definire un tempo e per mettere a punto un originale tema iconografico che sfugge a ogni retorica. Solo nel ricovero del sonno è concesso il ritorno agli affetti e al paese natale ad un fante ridotto a pesante massa, quasi fosse un macigno arrotondato dalla costante violenza degli agenti atmosferici. Il calco in gesso dell'opera fu esposto al centro della sala personale alla Terza Quadriennale d'Arte Nazionale del 1931 e una copia in bronzo è conservata nella Galleria Nazionale d'Arte Moderna a Roma. In mostra: documenti provenienti dall'Archivio Storico del Comune di Brisighella, disegni preparatori in gran parte conservati alla Biblioteca Comunale di Faenza, il bozzetto e un superstite, se pur parziale, calco in gesso ora alla Pinacoteca Comunale di Faenza e fotografie contemporanee finalizzate a una lettura dei caratteri salienti dell'opera.


                                                                      

 

 

 

 

                           

Ingresso della mostra
Ingresso della mostra

                         

 

 

 

 

 

 

 

Calco in gesso per la realizzazione del monumento Il Fante che dorme, di Domenico Rambelli     

Calco in gesso per la realizzazione del monumento Il Fante che dorme, di Domenico Rambelli 

 

                 

 

 Il Fante che dorme, di Domenico Rambelli  

 

                                                                                                                                                                                                               

 Il Fante che dorme, di Domenico Rambelli  

 

                                                                                                                                                                                 









 

Selezione di antichi testi su Agricoltura e alimentazione in Emilia Romagna

 

 

L'esposizione trae spunto dalla pubblicazione di Agricoltura e alimentazione in Emilia Romagna. Antologia di antichi testi, a cura di Zita Zanardi, che ripercorre la storia alimentare e agricola della nostra Regione affidandosi agli scritti e alle opere conservate negli istituti culturali, fino a ricostruire in un paziente mosaico di storia e arte l'identità di un territorio e la sua economia.

 Il volume raccoglie una scelta di opere in grado di testimoniare, anche attraverso immagini, la presenza in Emilia-Romagna di un'importante tradizione agricola e alimentare dalle radici antiche, mettendo in evidenza le colture caratteristiche, le tecniche di produzione, le consuetudini agricole e alimentari (sia quelle che sono arrivate fino a noi che quelle ormai scomparse), la legislazione di competenza, ma anche le curiosità, che sono alla base di un settore ancora dinamico e fecondo.
Le opere prese in considerazione sono frutto dello studio di autori emiliano-romagnoli o che comunque nella regione hanno vissuto e operato per tutta la vita o per una parte significativa di essa.

Numerose le pubblicazioni attraverso le quali si snoda un percorso che tocca manuali di agricoltura, trattati, libri di sanità, fra i quali non si può non ricordare il Tacuini sanitatis, pubblicato a Strasburgo nel 1531, i ricettari e 'libri di casa', i lunari e gli almanacchi con il Famoso Barbanera stampato a Faenza dalla Tipografia Conti nel 1844 e il Lunêri di Smembar, che si stampa a Faenza ininterrottamente dal 1845 per i tipi della Tipografia Faentina.

In esposizione anche la splendida Pomona italiana, ossia Trattato degli alberi fruttiferi di Giorgio Gallesio stampata a Pisa fra il 1817 e il 1839. Uscita a fascicoli e oggi conservata in pochi esemplari completi, l'opera contiene descrizioni accurate e stupende tavole a colori delle maggiori varietà fruttifere presenti in Italia negli anni di pubblicazione e riveste un notevole interesse agronomico in quanto vi sono descritte varietà fruttifere oggi ormai scomparse o presenti in ristretto numero.

Gli esemplari esposti, provenienti in gran parte dai fondi Zauli Naldi e Caldesi, rappresentano un'occasione per scoprire una pagina di storia della stampa e della tipografia.

 

 

 

 

 

 


Comune di Rimini

Il provvedimento, emanato prima a Roma e poi ristampato appositamente per la città di Rimini, riguarda la tassazione di un quattrino per ogni foglietta di vino applicata agli osti. Le misure utilizzate per servire il vino nelle osterie erano il congio (da cui bigoncio, il secchio di legno utilizzato per la vendemmia), il mezzo congio, il boccale, il mezzo boccale o foglietta.

 

 

 

Pietro de’ Crescenzi (Bologna 1223-1320)

Studioso di filosofia, di medicina, di scienze naturali, di giurisprudenza, Pietro de’ Crescenzi è considerato il maggiore agronomo del Medioevo occidentale. Nel suo Ruralium Commodorum libri XIII, qui presentato in edizione veneziana in italiano volgare, teorizzò tecniche agronomiche e di coltivazione dei giardini, la cui applicazione avrebbe determinato la struttura del moderno paesaggio rurale italiano. Questo testo sulla coltivazione fu uno dei pochissimi a vedere la luce nel periodo medievale, infatti tra la composizione dell’ultima opera agronomica della latinità, l’enciclopedica Naturalis Historia di Plinio il Vecchio e i primi trattati rinascimentali trascorsero milletrecento anni durante i quali furono diffusi solo tre testi, fra cui questo risalente al 1304.

 

 

 

 

 

Vincenzo Tanara (Bologna, m. 1669 ca.)

La monumentale opera del marchese Vincenzo Tanara è da annoverare tra i più fortunati esempi di letteratura inerenti l'economia rurale italiana di età moderna, frutto dell'esperienza che l'autore maturò nella conduzione dei propri possedimenti. È suddivisa in sette libri rispettivamente dedicati al pane ed al vino, alle viti ed alle api, al cortile - inteso come luogo in cui vengono allevati gli animali (compresi bovini e suini) -, all'orto, al giardino con gli alberi da frutto, alla lavorazione della terra. L'ultimo libro è dedicato ai cicli stagionali, ai quali sono legati anche i consumi delle varie pietanze. Conclude un'appendice dedicata alla caccia. Curioso è il testamento del porco, dove l'animale immagina di lasciare in eredità ogni parte del suo corpo a qualcuno: “...lascio a' fanciulli la mia vescica da giocare...”.

  (Schede tratte da Agricoltura e alimentazione in Emilia Romagna. Antologia di antichi testi, a cura di Zita Zanardi, Artestampa 2015)

 

 

          

 

 

Giorgio Gallesio, Pomona italiana ossia trattato degli alberi fruttiferiPisa, co' caratteri de' FF. Amoretti, presso Nicolò Capurro, 1817-1839

 

 

 

Apicio Marco Gavio

Vissuto tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C. fu un patrizio noto per la sua ricchezza e vita sfarzosa. A lui è attribuito il De re coquinaria, un trattato di cucina risalente nella sua forma nota al III-IV secolo d.C. Nel corso del Cinquecento ebbe una discreta fortuna e fu ristampata più volte. Ispirò numerose opere, fra cui quella del bolognese Giovanni Francesco Vasselli: Apicio ouero il maestro de’ conuiti.

 

Il Platina (Bartolomeo Sacchi, Cremona, 1421 – Roma, 1481)

Sfogliando i ricettari scritti tra la fine del medioevo e l'età barocca, può capitare di imbattersi in pietanze che si ripropongono da un autore all'altro. Un caso è quello della cosiddetta “torta bolognese” già nota nel Libro de arte coquinaria di Maestro Martino de' Rossi (n. 1430 circa) e riportata con poche varianti anche qui dal Platina.

 

 

Marco Bussato (Ravenna, sec. XVI-XVII)

Marco Bussato nacque presumibilmente a Ravenna nella prima metà del XVI secolo e già a partire dalla prima gioventù svolse la professione di innestatore, relativamente alla quale scrisse diversi trattati. Il Bussato qui tratta di diverse attività agricole: dell'aratura, della seminatura, della mietitura e della battitura del grano; della maniera di piantare, coltivare, potare ed innestare gli alberi da frutto e le viti. Il volume esposto costituisce una seconda edizione dell'opera, tuttavia contiene le stesse illustrazioni della prima edizione (Venezia, G. Fiorina, 1592).

  (Schede tratte da Agricoltura e alimentazione in Emilia Romagna. Antologia di antichi testi, a cura di Zita Zanardi, Artestampa 2015)

 

Giacomo Zanoni (Montecchio, 1615 – Bologna, 1682)

Giacomo Zanoni intraprese molto presto l'arte di speziale e si mostrò subito dotato di talento per la botanica. Nel 1642 venne nominato soprintendente dell'Orto botanico dello Studio bolognese, incarico che ricoprirà per quarant'anni, arricchendolo di molte specie, anche esotiche. Qui coltivò piante provenienti dai viaggi di esplorazione e creò un erbario. Nel 1675 pubblicò l'Historia botanica, ricca di 105 incisioni eseguite da Francesco Curti e da Francesco Maria Francia, che illustrano con estrema precisione altrettanto specie.

 

Antonio Metelli (Brisighella, 1807-1877)

Nella sua monumentale opera lo storico locale dedica in cui l'autore dedica parole molto belle alla coltivazione degli ulivi nella sua terra: “...dove appena cominciano a spuntare le collinette, e a far riparo coi loro dorsi ai venti che spirano da tramontana (da Brisighella a Fognano) ivi vedesi verdeggiare di perpetue foglie l'ulivo, raro dapprima, poi cresciuto in numero e unito alle vigne spargersi insieme con esse...

 

Ferdinando Bassi (Bologna, m. 1774)

L’illustrazione che orna il frontespizio dell’opera di Ferdinando Bassi (bolognese, botanico e  naturalista, fu custode dell'Orto botanico dell'Università di Bologna) fa riferimento alla leggenda secondo la quale le fonti dei “Bagni della Porretta” sarebbero state scoperte  verso la metà del XIII secolo a causa di un bue malato, che bevendo casualmente l’acqua ancora sconosciuta, avrebbe riacquistato la salute.

 

Lo Zibaldone contiene un excursus di diverse specialità prevalentemente modenesi ma anche di altre città. Si comincia con la ricetta del cotechino, si prosegue con lo zampone, passando poi dalla salsiccia all'erbazzone, arrivando anche alla mostarda di Carpi. Il libretto termina con il poemetto I gnocchi dell'abate modenese Giovanni Moreali.

 

Barbanera è dal 1762 il lunario per eccellenza : “nato” a Foligno e distribuito ovunque, è stato poi riprodotto anche localmente, come prova questa versione faentina. Le prime edizioni consistevano in fogli volanti da parete, ma a partire dal 1793 il Barbanera acquista la nuova forma di libretto, più ricco nei contenuti.

 

(Schede tratte da Agricoltura e alimentazione in Emilia Romagna. Antologia di antichi testi, a cura di Zita Zanardi, Artestampa 2015)

 

 

 

 

 

 

I tacuina sanitatis erano manuali di medicina scritti e miniati diffusisi dalla seconda metà del XIV secolo, che descrivevano, in forma di brevi precetti, quasi dei proverbi, le proprietà mediche di cibi, condimenti, frutta e verdura, ma anche stagioni e fenomeni naturali, sonno e movimento, controllo dei sentimenti, mettendoli in relazione con il corpo umano e fornendo indicazioni sul modo di correggerli e riportarne il maggior beneficio possibile. Traevano la loro origine dal testo del medico arabo Ibn Butlan, attivo a Bagdad nell’XI secolo e il loro nome deriverebbe dall’arabo Taqwin al-Sihha (Tavole della salute): attraverso di essi il continente europeo poté venire a conoscenza delle norme igieniche e alimentari della medicina araba. Dalla funzione pratica di questi testi si passò gradualmente anche a quella estetica.

L’esemplare esposto, proveniente dal fondo Ludovico Caldesi, appartiene alla prima edizione del 1531 del manoscritto di Ruggero da Parma, figlio di Giovanni, originario della Finlandia. Ruggero insegnò dapprima a Parma, poi a Salerno, dove fondò la Scuola chirurgica, da cui gli derivò anche il nome di Ruggero Salernitano.

 (Scheda tratta da Agricoltura e alimentazione in Emilia Romagna. Antologia di antichi testi, a cura di Zita Zanardi, Artestampa 2015)

 

 

 

 

 

 

Luneri di Smembar par l'ann …

E' il lunario dei poveracci, letteralmente dei “pezzenti” ed è uno dei più antichi: la notte di Capodanno del 1844-1845 nell'Osteria della Marianàza di Faenza, un gruppo di artisti disegnò e scrisse il “primo numero” improvvisato per pagare le consumazioni all'oste. La vignetta che lo accompagnava, disegnata dal pittore e scenografo Romolo Liverani e incisa su rame da Achille Calzi, rappresentava un uomo vestito di stracci, con un cappellaccio piumato e d'aspetto trasandato, che cavalcava un ronzino tenendo in una mano una bandiera recante la scritta “Generale dei smembri” e diretto verso un gruppo di catapecchie, su una delle quali era scritto “Locanda della miseria”. Sulla destra un cippo con l'indicazione “Città dei debiti”.

Il lunario da quel momento e per altri sessantotto anni sarà stampato dalla tipografia Marabini in forma di manifesto, per essere affisso e consultato agevolmente. Esso è suddiviso in due parti: nella prima compare una zirüdela, scritta in romagnolo e illustrata da vignette satiriche. Nella seconda parte si trova il calendario vero e proprio con le feste religiose, i santi, il sorgere e il tramontare del sole, il clima e i consigli per il raccolto. Dal 1868 compare a fondo pagina la figuretta di Mathieu De la Drôme ad indicare la sua paternità sugli studi delle fasi lunari e dei fenomeni atmosferici. Fedele testimone delle epoche che attraversa, il lunario riporta da oltre 170 anni i fatti che hanno tracciato la storia del Paese, restituendoci uno spaccato di vita autentico e genuino. Ogni anno lo si può acquistare in qualsiasi edicola della Romagna a partire dall'11 novembre, giorno dedicato a San Martino.

(Scheda tratta da Agricoltura e alimentazione in Emilia Romagna. Antologia di antichi testi, a cura di Zita Zanardi, Artestampa 2015 e da “E luneri di Smembar dal 1845 nelle case dei romagnoli “ di E. Casanova, in 2001 Romagna, 2012)

 

 

 

 

Girolamo Rossi (Ravenna, 1539 - 1607)

Filippo Mordani, nelle sue Vite di Ravegnani illustri definisce il Rossi “filosofo, oratore, poeta, medico ed istorico celebratissimo”; presso lo Studio di Padova completò gli studi di medicina e filosofia. Questa opera tratta della distillazione in tutte le sue forme, compresa quella dei vari metalli come l'oro e l'argento.

 

Paolo Sarti (Medicina, 1781 – Faenza, 1838)

Sarti, chimico e farmacista, dal 1816 cominciò a spostarsi sul territorio prelevando campioni d'acqua da ciascuna fonte per esaminarli, con esiti molto incoraggianti. Bartolomeo Righi nei suoi Annali della città di Faenza scrive che “quattro miglia in circa superiormente alla città furono scoperte nel 1819 sorgenti d'acque minerali, che tengonsi più efficaci che quelle di Riolo Secco; però che il nostro chimico e farmacista Paolo Sarti com'ebbe dal Magistrato ricevuto incarico d'analizzarle, le trovò pregne di particelle ferree, e per conseguente di virtù maggiori che non erano quelle, che in avanti conoscevansi.”

    

Paolo Anderlini (Bologna, 1772 – Faenza, 1833)

In quest'opera Anderlini cita la sorgente medicinale sita fuori da Faenza, con le tre qualità d'acqua già descritte dal Borsieri (S. Cristoforo, Olmatello e Salsa). Verso il 1905 una grossa frana seppellì il pozzo che per molti anni cadde nell’abbandono. Solo nel 1921 Luigi Ranieri pensò di ritrovare l’acqua curativa e sfruttarla; chiese pertanto al Comune la concessione della sorgente, obbligandosi a ricostruire il pozzo e ad incanalare le acque a sue spese.

 

 

  Giovanni Battista Borsieri, Delle acque di S. Cristoforo, in Faenza, [1761]

 

(Schede tratte da Agricoltura e alimentazione in Emilia Romagna. Antologia di antichi testi, a cura di Zita Zanardi, Artestampa 2015)

 

 

 

Francesco Ginanni (Ravenna, 1716 - 1766)

Erede di una famiglia patrizia ravennate che annoverava più di uno studioso, presso la corte dei Farnese studiò coi migliori maestri poeti, grammatici e matematici. In quest'opera Ginanni definisce il bosco ravennate “il più celebre e il più ragguardevole dell'Italia, che ben fu conosciuto per un carattere distintivo di questa città...” La foresta dell'Eden della Commedia somiglia alla pineta di Classe, egli dice, ed è antica come il mondo, inoltre in questo lungo racconto sulle meraviglie del bosco molte pagine sono dedicate alle “pine” e ai “pinocchi”.

 

Domenico Vincenzo Chendi (Formignana, 1710 – Tresigallo, 1795)

Don Domenico Vincenzo Chendi fu parroco di Tresigallo dal 1742 fino alla morte. Nel lungo periodo che trascorse nella località della pianura ferrarese, ebbe modo di conoscere i cicli della vita agreste, anche attraverso la gestione diretta del beneficio parrocchiale. Questo osservatorio privilegiato (assieme ad una certa curiosità scientifica che aveva maturato fin da giovane, con gli studi universitari di medicina e botanica) gli consentì di elaborare una conoscenza approfondita dell'economia rurale. L'opera in questione riserva sorprese, come ad esempio la descrizione di uno dei salumi più tipici del ferrarese, la salama da sugo, e le pagine dedicate all'uva d'oro.

 

(Schede tratte da Agricoltura e alimentazione in Emilia Romagna. Antologia di antichi testi, a cura di Zita Zanardi, Artestampa 2015)

 

 

 

 



ROMAGNA MONUMENTALE

DOMENICO RAMBELLI

UN MAESTRO DELL'ESPRESSIONISMO ITALIANO

 

AD MAIORA. Lo Scultore e l’Eroe › I DISEGNI

 

 

Il monumento dedicato all’asso dell’aviazione Francesco Baracca è frutto di una decennale gestazione che impegna Domenico Rambelli, indiscusso protagonista della scultura del Ventennio, fin dal 1926. Partendo da una composizione di impostazione simbolista, attraverso vari studi purtroppo non datati, lo scultore arriva nei primi anni Trenta alla definizione di un monumento a due corpi: l’aviatore su un alto piedistallo e l’ala. L’uno contraddistinto da essenziali accessori propri della professione, l’altra che offre la propria superficie come piano sul quale dispiegare la simbologia celebrativa dell’eroe.

La cospicua selezione di disegni esposti consente di apprezzare l’ampia gamma di segno tipica di Rambelli. Dal raffinato e fitto tratteggio accompagnato da un sapiente uso del chiaroscuro, fino a segni più brutali, quasi graffiati, con un andamento che sembra evolversi in direzione di una enfatizzazione della plasticità dei volumi sempre più arrotondati. L’insistita ricerca di semplificazione formale e compositiva segue una via del tutto personale lontana sia dal bistolfismo che caratterizza la maggior parte dei monumenti ai caduti della Grande Guerra, sia dalla tendenza al classicismo razionalista che identifica la successiva corrente novecentista.    

L’allestimento, affidato all’artista riminese Claudio Ballestracci,

vuole evocare il cantiere collocato nel 1936 nella piazza dove ora si erge il monumento.

 

Inaugurazione Mostra
Inaugurazione Mostra "Romagna Monumentale"

 

 

ROMAGNA MONUMENTALE

DOMENICO RAMBELLI

UN MAESTRO DELL'ESPRESSIONISMO ITALIANO

 

AD MAIORA. Lo Scultore e l’Eroe › LE FOTOGRAFIE

Dal cantiere del 1936 agli 'studi' di Luca Nostri

 

 

Il monumento dedicato all’asso dell’aviazione Francesco Baracca è frutto di una decennale gestazione che impegna fin dal 1925 Domenico Rambelli, indiscusso protagonista della scultura del Ventennio. Dopo un lungo lasso di tempo, durante il quale si sono susseguiti progetti, contrasti riguardo l'ubicazione, lungaggini burocratiche, crisi municipali e politiche, nel 1936 fu finalmente avviato il cantiere che si concluse con l'inaugurazione il 21 giugno dello stesso anno.

In questa sezione un interessante apparato fotografico, proveniente dalla biblioteca Manfrediana di Faenza e dall'archivio storico del Comune di Lugo, documenta alcune fasi dell'intervento destinato a mutare profondamente l'assetto del centro storico e della piazza che, grazie alla collocazione del Monumento, ha assunto un aspetto vagamente metafisico, come ci ricordano Antonio Paolucci e Vittorio Sgarbi.

A corredo di quelle storiche, le immagini del fotografo Luca Nostri, allievo di Guido Guidi e ideatore del progetto Lugo land, concorrono a restituirci le peculiari valenze plastiche del Monumento nella sua suggestiva cornice ambientale.

 

 

percorso espositivo
Percorso espositivo

 

Percorso espositivo
Percorso espositivo

 

ROMAGNA MONUMENTALE

DOMENICO RAMBELLI

UN MAESTRO DELL'ESPRESSIONISMO ITALIANO

 

AD MAIORA. Lo Scultore e l’Eroe › I DOCUMENTI

 

 

L'idea di un monumento per celebrare la memoria di Francesco Baracca era già presente fin dall'anno 1919, all'indomani della morte dell'Asso dell'Aviazione lughese, quando furono promosse iniziative e creati comitati per onorare l'eroe della prima guerra mondiale. I documenti esposti in questa sede, conservati in gran parte presso l'Archivio storico del Comune di Lugo, testimoniano l'intensa attività - progettuale, organizzativa e di relazioni - che ha portato alla realizzazione del monumento, inaugurato nella piazza della città il 21 giugno 1936.

Una vicenda lunga dieci anni durante la quale si sono susseguiti progetti, contrasti riguardo l'ubicazione, lungaggini burocratiche, crisi municipali e politiche, pur rimanendo immutato il protagonista artistico, lo scultore faentino Domenico Rambelli il cui nome compare in relazione al progetto celebrativo fin dal 1925 con l’esplicito sostegno di Margherita Sarfatti e di Ugo Ojetti.

Lettere, contratti, offerte di forniture, carte tecniche e contabili attestano inoltre un enorme impegno sul piano economico, istituzionale e umano che rispecchia la burocrazia dei lavori pubblici e dà conto di una complessità di rapporti e di equilibri che hanno ruotato attorno al progetto e alla sua realizzazione.

Dalle carte emerge inoltre il coinvolgimento delle massime cariche politiche, istituzionali, militari dell'epoca, ma anche quello di personalità e operatori locali, come si evince per esempio dalla ricca documentazione relativa all'organizzazione della solenne inaugurazione del monumento.

 

 

 

Percorso espositino
Percorso espositino

 

 

Percorso espositino
Percorso espositino











ROMAGNA MONUMENTALE

DOMENICO RAMBELLI

UN MAESTRO DELL'ESPRESSIONISMO ITALIANO

 

AD MAIORA. Lo Scultore e l’Eroe › IL VOLTO

 

 

Alla migliore conoscenza del “Rambelli monumentale” intende contribuire il “trittico” delle mostre allestite in Romagna, lungo un itinerario che comincia dalle straordinarie invenzioni esibite dallo scultore prima a Brisighella e poi a Lugo, e che porta fino a Faenza con il più tardo “omaggio” reso allo scrittore Alfredo Oriani. Sui tre complessi monumentali l’esposizione riunisce ampia documentazione, partendo dallo straordinario ‘corpus’ di opere rambelliane (disegni, studi, bozzetti) conservato presso la Biblioteca Manfrediana di Faenza e presentato per la prima volta esaurientemente catalogato, con l’aggiunta di materiali del tutto inediti, provenienti da collezioni private.

In questa sede abbiamo scelto, tra i disegni preparatori del Monumento a Baracca realizzati da Domenico Rambelli tra il 1932 e il 1934, esposti alle Pescherie della Rocca estense, alcuni studi sulla statua e altri che rappresentano il volto dell'Eroe, collocandoli all'interno di teche e vetrine, quasi a sorprendere il visitatore e a restituire all'Asso dell'Aviazione italiana, nella sua Casa natale, una dimensione familiare.

 

Monumento a Baracca
Monumento a Baracca
Monumento a Baracca
Monumento a Baracca
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